Pubblicato il 04 Dicembre 2023

Sicurezza sul lavoro: Punire chi sbaglia è una pratica sbagliata

Sicurezza sul lavoro: Punire chi sbaglia è una pratica sbagliata

di Ing. Riccardo Borghetto, Amministratore Unico di Lisa Servizi. 

In questo articolo analizzerò alcune delle pratiche che, seppur inefficaci, vengono molto utilizzate nella sicurezza sul lavoro. L'articolo precedente trattava degli incentivi economici ai lavoratori che non hanno infortuni, lo potete leggere qui: Concedere Incentivi Economici a chi non ha infortuni è una pratica sbagliata.

Non c’è pratica più inutile e dannosa per l’organizzazione che punire chi sbaglia. Questo in generale. Ma vale soprattutto in ambito sicurezza sul lavoro.

Non è facile capirlo, ed  è un tema troppo lungo per un post, tant’è che ho deciso di organizzare in Lisa Servizi uno specifico corso di formazione.

Il nostro istinto, la nostra percezione comune, ci porta a conclusioni molto diverse rispetto a quello che ci dice la scienza del comportamento, la Behavior Analysis.

Il fatto che la sicurezza sia intrisa di norme, di leggi penali, di suggerimenti di legali, ci porta nella direzione sbagliata, ovvero a peggiorare la situazione.

Molto spesso tutti noi abbiamo comportamenti a rischio e/o inopportuni.

Una volta che veniamo scoperti, magari dopo un infortunio, che facciamo?

Punire o non punire, questo è il problema

Dopo un evento con danno a persone o proprietà si ritiene che sia opportuno applicare la punizione.

Alcune aziende di fatto non la usano mai, altre applicano la tolleranza zero: “Punire uno per educare tutti”.

Elementi da considerare per decidere se punire o no:

  • Una volta applicata la punizione ottengo quello che voglio, cioè il comportamento sicuro?

  • In passato la punizione ha funzionato?

  • Vi sono effetti collaterali. I benefici sono maggiori del costo sociale?

  • Si possono ottenere migliori risultati in altro modo?

Gli incidenti hanno moltissime cause

Di solito si punisce un comportamento per evitare che avvenga ancora in futuro.

Il problema è che gli incidenti hanno moltissime cause, la maggior parte di natura organizzativa. Punire il comportamento di chi ha sbagliato lascia inalterata la situazione delle cause organizzative che hanno determinato il comportamento a rischio.

La ricerca del colpevole consente di chiudere rapidamente l’indagine post evento, senza trovare la vera causa radice.

Ma nel momento in cui i lavoratori capiscono, che la causa vera, andava cercata altrove, soprattutto in circostanze gestite dal management, aumenta il risentimento e cessano i comportamenti volontari, proprio quelli che servono per costruire una cultura di sicurezza di elevate performance.

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Le punizioni efficaci

Nella scienza del comportamento, la punizione (P+), è una conseguenza che, erogata dopo un comportamento, lo fa diminuire. Apparentemente, se il comportamento a rischio ha provocato un incidente, punire quello specifico comportamento significa farlo diminuire in futuro. Quindi sembra che la punizione sia la soluzione corretta.

Non è così. La punizione per essere efficace deve essere immediata. Più tempo passa dall’erogazione del comportamento alla punizione erogata e meno efficace è la punizione. Sicuramente il dolore fisico connesso ad un infortunio autogenerato è una punizione efficace nell’eliminare il comportamento che l’ha generato. Invece l’applicazione del sistema disciplinare rispettoso di tutte le norme di legge e contrattuali, avviene in forme che introducono molto ritardo e le rende inefficaci. Altra questione è legata alle punizioni occasionali a fronte di un comportamento a rischio frequente. Anche in questo caso la punizione è poco efficace per ridurre il comportamento a rischio. Quindi erogare punizioni che funzionano non è facile.

Gli effetti collaterali delle punizioni

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L’uso deliberato della punizione genera molti effetti collaterali indesiderati. Solo all’interno di un'organizzazione con una cultura che fa un uso sistematico di rinforzo positivo R+, qualche rara punizione viene accettata come strumento di miglioramento. Questo non avviene praticamente mai nelle organizzazioni. Pochissime sono le organizzazioni che applicano rinforzi positivi in modo sistematico.

Questi sono alcuni degli effetti collaterali delle punizioni:

  • Meno produttività

  • Meno lavoro di squadra

  • Abbassamento del morale

  • Riduzione del comportamento volontario

  • Aumento del turnover

  • Minore fiducia nei capi e nell’azienda

  • Calo nel reporting di near miss, incidenti, infortuni e segnalazioni di miglioramento

L’ultimo punto è di fondamentale importanza per avere una cultura di sicurezza di elevate performance. 

Quando i lavoratori hanno paura delle conseguenze generate dalle loro segnalazioni, smettono di farlo.

Senza un dialogo frequente e trasparente tra management e lavoratori in linea non è possibile costruire una cultura di sicurezza d’eccellenza.

Spesso il management è sorpreso del fatto che accadono incidenti, perché non è nella posizione di vedere le circostanze che si verificano ogni giorno. I lavoratori invece non sono sorpresi perché conoscono perfettamente quello che succede e vedono errori, violazioni ecc.

Per creare una cultura di sicurezza di elevate performance (cioè a infortuni zero o quasi) lavoratori e management devono scambiare le informazioni e confrontarsi. Soprattutto i lavoratori devono segnalare e proporre volontariamente idee di miglioramento. L’uso della punizione distrugge tutto questo.

In merito a questo si veda anche il nostro articolo sulla Just culture.

Perché le organizzazioni usano le punizioni

Le organizzazioni pensano (in modo errato) che le punizioni siano la strategia più efficace per evitare il ripetersi di incidenti.

Le organizzazioni usano le punizioni per: 

  • Soddisfare un bisogno dell’alta direzione di dimostrare che si è “fatto qualcosa” dopo un infortunio.

  • Assicurarsi che il lavoratore non lo faccia più. 

Se il lavoratore si fa male seriamente il dolore è già una punizione efficace. Abbiamo imparato sin da piccoli che se tocchi un oggetto incandescente ti ustioni. In futuro non toccherai più. Se siamo in presenza di Near Miss o evento senza dolore fisico, l’uso della punizione può ridurre il comportamento a rischio, ma si corre il rischio degli effetti indesiderati già discussi.

  • Per “mandare un messaggio”. 

Anche se si percepisce che non è giusto punire, il “mandare un messaggio” serve per non condonare il comportamento che ha generato l’evento. Nei casi di violazioni deliberate, intenzionali la punizione può essere opportuna, ma il problema è capire quando il comportamento è stato intenzionale e quando è stato invece causato da aspetti organizzativi. Di fatto è un rinforzo negativo (una minaccia) per gli altri: se non volete essere puniti non fatelo.

  • Perché gli altri tentativi di cambiare il comportamento non hanno funzionato.

Questo è comprensibile perché di solito il tentativo di cambiare il cambiamento avviene sulla base degli antecedenti e non delle conseguenze (spesso sentiamo “l’ho ripetuto un sacco di volte e ciononostante continua a…”, “il cartello è lì”, “abbiamo una procedura ferrea che non ammettere deroghe”, “abbiamo fatto da poco il corso di formazione”). Coloro che non hanno chiaro che gli antecedenti non cambiano il comportamento pensano sia necessario punire.

  • Per dimostrare a terzi che agiamo.

Qualche volta si punisce non per cambiare il comportamento dei lavoratori ma semplicemente per poter dimostrare a qualche capo o organo di controllo, che “abbiamo fatto qualcosa!” ed evitare che qualcuno, dopo un serio incidente ti venga a dire “e tu cosa stai facendo”? 

  • Perché "qualcuno deve pagare", per punire il responsabile.

Informazioni pregiate: Che cosa ci perdiamo?

In un mondo di cambiamenti repentini nei processi, prodotti, turnover, con elevato stress e pressione, i rischi cambiano in continuazione. Per intercettarli servirebbero mille occhi.

In un processo di sicurezza top, i lavoratori gestiscono questi cambiamenti in modo anticipatorio, cercando di eliminare i rischi prima possibile, segnalando e proponendo iniziative di mitigazione. Si può imparare molto dagli incidenti accaduti, dai near miss, dai comportamenti a rischio.

E invece la maggior parte delle organizzazioni sta ancora chiedendosi come mai i lavoratori non segnalano.

E’ la minaccia della punizione che crea questi problemi. Quando i lavoratori hanno paura a discutere degli errori perché questo può portare a punizioni, se ne stanno “zitti zitti”* e le preziose informazioni sono perse.

*  Il modo di dire mi è stato riportato durante un’ intervista ai lavoratori, uno di questi mi ha proprio detto me ne sto “zitto zitto” così evito problemi.

Non punire significa condonare i comportamenti a rischio?

Qualche rara volta l’uso della punizione è opportuno. Ma non usarla non significa automaticamente condonare i comportamenti a rischio. Possiamo comunicare che certi comportamenti sono inaccettabili, anche senza punire. Ancora meglio comunicare l’importanza di avere determinati comportamenti critici sicuri.

Cosa fare allora?

Bisogna tracciare una linea che divida gli errori che possono accadere dalle violazioni volontarie. Non è facile tracciare tale linea, ma soprattutto è critico il “chi decide la linea”, cioè il giudice. Secondo importanti autori come Didney Dekker è importante che “chi decide la linea” non sia l’alta direzione o la funzione sicurezza (che non conosce quello che succede da un punto di vista comportamentale e fisico a livello di produzione), ma siano dei colleghi che fanno lo stesso lavoro. Inoltre è opportuno avere anche un esperto in analisi del comportamento. Infatti è banale concludere che una persona formata, che si è comportata a rischio, ha violato le regole.  

Nella mia esperienza, anche quando sembra che un lavoratore abbia violato le regole, spesso vi sono situazioni che facilitano il comportamento a rischio come:

  • La pressione sulla produttività

  • Fatica dovuta al troppo straordinario

  • Forti conseguenze negative per il comportamento sicuro (DPI non confortevoli, eccesso di tempo perso nelle procedure sicure, lavoro difficile)

  • Assenza di conseguenze sul comportamento a rischio.

Quando si considerano tutti questi elementi, quella che sembrava essere una violazione intenzionale alle regole assume i contorni di un lavoratore che semplicemente cercava di fare il meglio che poteva con quella specifica organizzazione del lavoro.

Incolpare il sistema al posto del lavoratore

E’ opportuno inquadrare gli incidenti, i near miss e i comportamenti a rischio come un fallimento del sistema di gestione del rischio, piuttosto che scelte individuali sbagliate.

Spesso si pensa di sistemare l’errore umano che ha creato il problema. Per molti autori l’errore umano non è il problema, non è la causa ma un sintomo di fattori organizzativi. Quindi non dobbiamo focalizzarci sull’errore umano ma sul sistema all’interno del quale l’umano opera.

In pratica è critico cambiare il comportamento dei leader, di chi gestisce il sistema per prevenire gli incidenti. Di chi eroga contingenze (antecedenti e conseguenze) che possono aumentare i comportamenti a rischio. 

L’uso della punizione non porta a miglioramenti, invece l’aggiunta di un feedback e rinforzo positivo da parte dei colleghi come nel processo BBS, funziona: aumenta i comportamenti sicuri e riduce quelli a rischio.

Come anticipato all’inizio dell’articolo, Il corso “Sicurezza sul lavoro. L’effetto tossico delle punizioni” approfondisce il tema con l’obiettivo di dare ai professionisti della sicurezza i giusti strumenti, basati sulla scienza del comportamento, per capire cosa sono le punizioni e quali sono i loro effetti deleteri.

Per saperne di più leggi anche il libro "Gestione dei comportamenti di sicurezza e protocollo BBS" di Ing. Riccardo Borghetto, è disponibile al link: bit.ly/epc-editore-gestione-dei-comportamenti

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