Pubblicato il 24 Luglio 2016

Valutazione rischio Stress Lavoro correlato: Ma interessa a qualcuno?

Valutazione rischio Stress Lavoro correlato: Ma interessa a qualcuno?

Sarebbe il caso di rivedere la normativa e verificare se davvero vale la pena perdere tempo e denaro per un fattore di rischio inesistente.

Finalmente trovo un medico competente che la pensa come me o almeno non è allineato al pensiero prevalente delle istituzioni.

La notizia è tratta dal sito del dott. Cristiano Ravalli.

Pochi sono i clienti cui realmente importa la problematica stress. Quasi nessuno ha percepito un reale miglioramento nel compilare le schede delle metodologia oggettiva.

Se è vero quello che scrive il dott. Ravalli, tutta la questione stress è gonfiata e non rappresenta un rischio significativo.

Ecco quanto scrive:

“Aggiorno questo post con i dati pubblicati dall’INAIL relativi al 2015 e che confermano il “liberi tutti” da me sollecitato a fine 2015 leggendo i dati INAIL.
I disturbi nevrotici legati a stress e somatiformi denunciati come malattia professionale nel 2015 sono stati 457 (424 nell’industria e servizi, 3 in agricoltura e 30 in conto stato).

Quelli riconosciuti come malattia professionale sono nel 2015: 26 (23 nell’industria e servizi, 0 in agricoltura e 3 in conto stato). In linea quindi con gli anni precedenti.

Dobbiamo ammetterlo: abbiamo esagerato e ci siamo sbagliati. Probabilmente non è un fenomeno così eclatante, così importante come abbiamo tentato di far passare qui in Italia.
Ma allora perchè costringere le aziende a costosi processi valutativi e a ore di corsi formativi per un fattore di rischio da un lato assente nelle aziende italiane e dall’altro privo di conseguenze sulla salute?
Da una parte abbiamo quei burocrati di Bruxelles, che ci hanno obbligato a valutare i fattori di rischio stress lavoro-correlato e ci martellano di notizie riguardo la prevalenza del fenomeno (1/3 della popolazione lavorativa) e sui costi di gestione (La Commissione europea (2002) ha calcolato che nel 2002 il costo annuo dello stress lavoro-correlato nell’UE a 15 ammontava a 20 miliardi di EUR):
https://osha.europa.eu/sites/default/files/publications/documents/597%20calculating%20the%20cost%20of%20related%20stress%20-%20IT.pdf

Ma noi no, noi non ci facciamo influenzare da questi allarmisti di professione e, prove alla mano, possiamo dimostrare che il problema in Italia non esiste. Sia perchè i fattori di rischio lavorativi sono privi di rilevanza, sia perchè i numeri di casi accertati sono esigui, meno delle malattie rare……si, possiamo dire che le conseguenze dello stress lavorativo sono una malattia rara.
Tutti quelli che si occupano di prevenzione avranno avuto modo di verificare che la valutazione dei fattori dei rischi stress lavoro-correlati, se applicate le procedure previste dalla norma (la compilazione delle check-list: ), non raggiunge mai un livello di rischio, neppure se bari, se le compili tirando i dadi o ad occhi chiusi o se, dolosamente, vuoi far emergere qualcosa che non c’è.
Direte voi maligni: “si ma siamo in Italia e si sa che la metodica è stata realizzata al contrario, proprio per dimostrare che i fattori di rischio non esistono; perchè non andate a vedere quante persone soffrono per il disagio lavorativo? Allora si, che si capisce il fenomeno”.
Ecco….andiamo a leggere i numeri dell’INAIL.
Nei 5 anni tra il 2011 e 2014 i “disturbi nevrotici, legati a stress e somatiformi” denunciati come malattie professionali sono stati:
2155 nell’industria e servizi
30 in agricoltura
155 conto stato
2340 casi di malattia professionale denunciata dai medici che ne sono venuti a conoscenza
Quelli riconosciuti come malattia professionale nello stesso quinquennio sono stati:
220 nell’industria e servizi
1 in agricoltura (povero unico agricoltore italiana vittima dello stress al lavoro in un quinquennio)
10 in conto stato.
231 casi riconosciuti come professionali in 5 anni. Non ci sono grosse variazioni nei singoli anni: il fenomeno è quindi stabile.
Il 10% dei casi denunciati vengono riconosciuti dall’INAIL.

Ma allora, se si applica una semplice valutazione del costo beneficio da bilancio domestico: se i fattori di rischio non emergono applicando le procedure individuate dal legislatore e se il fenomeno riguarda circa 45 lavoratori all’anno……non conviene chiedere scusa alla aziende, dire….ci siamo sbagliati…liberi tutti e all’unico povero agricoltore italiano vittima del disagio lavorativo, in 5 anni, in tutto il settore agricolo italico….tutta la nostra solidarietà.
Oppure i dati possono essere letti in un altro modo: l’assenza di conseguenze del disagio lavorativo nel quinquennio 2011-2014 sono stati il frutto del nazional impegno negli anni precedenti a mettere in atto strategie tali da abbattere il rischio e neanche con l’antipolio avevamo avuto risultati così eclatanti: onore al merito.

Vale quindi la pena far perdere tempo e denaro alle aziende per un fattore di rischio inesistente?

 

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