Pubblicato il 18 Novembre 2011

I compiti dell'organismo di vigilanza 231 al collegio sindacale: un passo avanti o un passo indietro ?


Di Dott. Claudio Donzi Consulente di Direzione Area Finanza e Controllo
Analista Finanziario Revisore Ufficiale dei Conti Auditor sistemi di gestione e di controllo interno 
 

Con l’emanazione della legge n.183 del 12 novembre 2011, meglio nota come legge di stabilità 2012, il Parlamento italiano ha approvato una serie di misure di semplificazione amministrativa orientate all’accoglimento delle indicazioni a suo tempo introdotte sul mercato comunitario dal “Programma d’azione per la riduzione degli oneri amministrativi nell’Unione europea” adottato nel 2007 dalla Commissione Europea.

Tra queste misure si trova anche una parziale ma significativa revisione del diritto societario ex-riforma 2004. La questione riguarda i requisiti di obbligatorietà dei collegi sindacali nelle società di capitale, la loro composizione e la sfera di competenze assegnategli.

I primi due profili vale la pena vengano qui affrontati solo brevemente, in quanto esulano dagli obiettivi del presente articolo, che vuole invece puntare l’attenzione in modo particolare sulle competenze che la legge di stabilità affida all’organo di controllo. Nei primi due aspetti si tratta infatti della fissazione di nuovi limiti dimensionali cui le società di capitali potranno fare riferimento per il ricorso all’organo sindacale in forma non più collegiale ma monocratica, con evidente minore dispendio di risorse e burocrazia.

Riguardo invece la questione delle competenze, la nuova disposizione legislativa costituisce “ex-novo” una esclusiva prima non formalmente prevista, anche se va detto che dalla più recente interpretazione dei tessuti normativi inerenti la responsabilità delle persone giuridiche da più fonti si era già pervenuti ad una conclusione simile a quella del legislatore. Si tratta della possibilità di affidare al Collegio Sindacale le responsabilità dell’Organismo di Vigilanza 231.

Peraltro la stessa disposizione è estesa, a seconda del modello di governo adottato dalla società, anche al Consiglio di Sorveglianza ed al Comitato di Controllo.

In linea di principio tale orientamento, già come detto di per sé non escluso dal disposto del 231, trova una sua logica anche a fronte della ortodossa elencazione dei compiti che il diritto societario già affidava al Collegio Sindacale, quando appunto tra questi si elenca la vigilanza sul sistema di controllo interno. E’ infatti sufficiente rifarsi alla definizione di sistema di controllo interna, riconosciuta a livello internazionale, per comprendere la fondatezza di quanto si sostiene. Il sistema di controllo interno è infatti quella organica struttura costituita dall’insieme delle regole, delle procedure e delle strutture organizzative che mirano ad assicurare il rispetto delle strategie aziendali ed il conseguimento dell’efficacia ed efficienza dei processi aziendali, della salvaguardia del valore delle attività e protezione dalle perdite, dell’affidabilità ed integrità delle informazioni contabili e gestionali, della conformità delle operazioni con la legge, la normativa di vigilanza, le disposizioni interne dell’intermediario.

Come non percepire che i presidi che il modello organizzativo richiamato dal decreto 231, risalenti alla prevenzione della commissione dei reati penali, sono senz’altro compresi all’interno dei requisiti di conformità alla legge e salvaguardia del patrimonio aziendale ?

Ma il punto non è questo. Tutti possono concordare sulla correttezza dell’interpretazione, ma diversamente i punti di vista possono allinearsi sul giudizio di opportunità di questa. Occorre infatti per questo stabilire se nella prassi e nella realtà operativa la configurazione che la legge di stabilità ha voluto definire stia nei fatti oppure no.

Già lo spirito con il quale il decreto 231 riveste ed affida la funzione di presidio dei modelli organizzativi all’Organismo di Vigilanza 231, appare richiedere oltre che i profili di indipendenza, pure questi presenti nelle caratteristiche del Collegio Sindacale, anche profili di continuità e rilevanza interna nell’azione di vigilanza specifica. Pur riconducendo all’organo di controllo sindacale le configurazioni del controllo interno nello schema di governo dell’impresa, dovremo domandarci quindi se la vigilanza dei Collegi, così come questa si esercita nel rispetto delle regole di diritto societario, resti effettivamente fedele ai principi di continuità  e presenza strutturale esercitati nell’organizzazione aziendale. In breve ed a titolo di esempio: l’obbligo di verifica trimestrale è coerente con una azione “continua” di vigilanza o riveste maggiormente le specificità di una azione di tipo “periodico”.

La domanda resta evidentemente aperta, potendo rispondervi in modo diverso nell’ambito delle libertà interpretative che ognuno deve poter avere.

Tuttavia importante è già solo porre la questione. Perché nel caso in cui un collegio sindacale, od ancor più un sindaco monocratico, dovessero interpretare la propria sfera di responsabilità con la giusta deontologia professionale, il rischio che si trovino a comprendere che l’assunzione del modello organizzativo “ex 231” da parte dell’ente loro vigilato comporti per loro oneri ed impegni oltremodo più gravosi di quanti ne poteva comportare la semplice vigilanza sul sistema di controllo interno, che si esprimeva, è bene ricordarlo, su un giudizio di efficacia che al collegio si richiedeva, è un rischio molto reale. Un rischio che solo attraverso maggior impegno di risorse potrebbe essere affrontato, vanificandosi così ogni spirito di semplificazione “europea”.

In buona sostanza, la domanda è: affidare i compiti dell’organismo di vigilanza ex 231 al controllo sindacale, oltre che verificarsi la sua reale fattibilità, è un passo avanti od un passo indietro lungo la strada del buon governo aziendale ?

 

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