Pubblicato il 08 Febbraio 2011

Negli ultimi mesi è progressivamente cresciuto l’interesse degli operatori economici per l’istituto giuridico della Legge   231 del 2001, che regolamenta gli aspetti della responsabilità amministrativa degli enti con personalità giuridica per i reati di natura penale commessi dai suoi amministratori e dipendenti: in buona sostanza il decreto statuisce quanto può riguardare la responsabilità penale in capo ad una società, ancorché sembri anomalo tale profilo, abitualmente riservandosi l’ambito penale alla sfera giuridica delle persone fisiche.  

L’assunzione ai maggior diritti di cronaca del decreto, va probabilmente ricondotta al concomitante effetto che ha avuto l’ampliamento dell’ambito di pertinenza che al decreto stesso è stato assegnato in seguito ad alcuni più recenti provvedimenti legislativi; mi ricollego in questo caso alle disposizioni in tema di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, alle norme sulla tutela dei prodotti informatici, alla tutela dei marchi, alle prossime misure, in parte già attuate, in ordine ai reati ambientali.

Molto interesse a questa regolamentazione andrebbe tuttavia riservato in ragione di altri e ben più consistenti presupposti: quelli ad esempio inerenti il valore aggiunto che attraverso i requisiti indicati dalla regolamentazione legislativa in questione possono derivare per gli aspetti di governo, controllo ed organizzazione delle iniziative d’impresa.

La vera “sfida” sta proprio su questo terreno: cerchiamo di capire perché.

Il decreto in questione, nonostante i dieci anni circa di vita, fa riferimento a concetti di governo dell’impresa che risalgono anche più indietro nel tempo, soprattutto se consideriamo che questi sono di fatto ispirati ad una concezione aziendalistica di tipo anglosassone;  citandone una su tutte non è difficile desumere che molta ispirazione del legislatore italiano proviene dalla medesima fonte cui in tempi altrettanto recenti si è sviluppata nel 2002 la regolamentazione americana nota come “Sarbanes-Oxley act”, dal nome dei legislatori statunitensi in questa impegnatisi. Senza aver la pretesa di esaurire in questo spazio l’analisi delle disposizioni in questione, va tenuto in ogni caso presente che la Legge 231 del 2001 da un lato stabilisce i criteri di responsabilità della persona giuridica, come già accennato, mentre dall’altro statuisce le condizioni per le quali questa responsabilità può essere delimitata e contenuta: si tratta delle cosiddette “esimenti” . In particolare l’esimente principale stabilisce che la persona giuridica non è responsabile della commissione di un reato qualora si dimostri che è stato impostato all’interno della struttura aziendale un modello organizzativo conforme ed allineato ai requisiti indicati dal decreto.

Esaminiamo i requisiti che la normativa di cui trattasi indica perché il modello organizzativo dell’impresa rientri tra quelli idonei alla delimitazione della responsabilità amministrativo/penale in capo all’ente stesso.

E’ generalmente condiviso che il modello organizzativo richiesto dal decreto deve essere dotato di alcune precise componenti, quali: un Codice Etico, al quale ogni risorsa dell’organizzazione si conformi nel proprio comportamento, un Sistema Organizzativo, inteso come una prassi formale e documentata con la quale definire responsabilità e poteri autorizzativi e di firma sia in senso esecutivo che di controllo, un insieme di Procedure formali, che definiscono le modalità operative all’interno di una organizzazione ed implementate a livello cartaceo od informatico, un sistema di Controllo Gestionale, inteso secondo i più classici modelli aziendalistici di gestione degli obiettivi e degli scostamenti da questi, nonché infine una presenza adeguata di iniziative di Comunicazione, Addestramento e Formazione adatte ad assicurare che ogni risorsa dell’organizzazione sia posta nelle condizioni corrette per operare in conformità alla legge ed alla normativa interna.

Affianco al modello la normativa della Legge 231 del 2001 impone evidentemente altre formalità, che in buona sostanza riguardano la costituzione di un Organismo di Vigilanza, dotato di proprio regolamento, di strumenti operativi e di funzionamento ed interazione con il resto dell’organizzazione, e la implementazione di un sistema disciplinare idoneo a dissuadere dalla commissione di infrazioni i soggetti operanti per conto dell’organizzazione, che ordinariamente viene ricondotto nel caso dei dipendenti alle prescrizioni dei contratti nazionali di lavoro e per i dirigenti ed amministratori alle clausole di revoca contrattuale per giusta causa, mediamente articolate.

Considerati questi ultimi aspetti, che tuttavia costituirebbero un effettivo “plus” organizzativo richiesto dal decreto solo nel caso dell’Organismo di Vigilanza, l’impegno che una organizzazione deve affrontare per “guadagnare” la pagella di conformità si riduce al solo dotarsi del modello organizzativo 231. Nel caso poi si dovesse riscontrare che l’adozione di un tale modello organizzativo 231 non costituisse in nessun modo un aggravio organizzativo od una indesiderabile “sovrastruttura”, quanto piuttosto una efficace opportunità organizzativa e di controllo se non addirittura un interessante miglioramento degli strumenti di governo dell’impresa, dovremmo concludere per un sicuro apprezzamento degli obiettivi normativi che la Legge 231 porta con sé.

Questo è precisamente il punto di vista di chi scrive. Ed è agevole darne una sintetica dimostrazione.

Esperienze vicine alla condivisione di un Codice Etico nelle organizzazioni d’impresa non sono rare: si pensi a tal proposito ai documenti di Politica che quasi tutti gli schemi certificativi richiedono: questo con riferimento alla Qualità, alle certificazioni ambientali ed a quelle di sicurezza sul lavoro, fino ad arrivare  più propriamente alle certificazioni di tipo etico e sociale. Allargare la sfera di competenza di questi documenti è probabilmente solo un modo per renderli ancora più riconosciuti e condivisi all’interno di ogni organizzazione: la correttezza legale nei comportamenti con enti esterni o con soggetti interni è senza dubbio un valore ricco di potenzialità “coinvolgenti”. Valori quindi di trasparenza, lealtà ed educazione non possono certo costituire ostacolo operativo: il Codice Etico è veramente il documento che può costituire un valore indiscusso di “bandiera” all’interno delle organizzazioni, con benefici su tutti i fronti ed a tutti i livelli.

La definizione, quindi, di responsabilità, poteri, divisione di compiti, regole di rappresentanza, è più che altro una necessità all’interno delle imprese e quindi l’esigenza di formalizzarne i contenuti, laddove sia in ciò carente, non può che costituire migliore gestione e più presidio del bene aziendale.

L’esistenza di procedure formali con le quali regolare le modalità operative delle diverse attività di una organizzazione è poi una richiesta che tutti i sistemi di gestione certificabili da enti esterni pongono come vincolo: in questo senso vale il riferimento alle Iso 9000, alle Ohsas 18001, alle Iso 14000, ed ancora a molte altre, da tempo riconosciute come strumenti che, se ben implementati, costituiscono le necessarie premesse alla efficace ed efficiente organizzazione d’impresa.

Il Controllo di Gestione non necessità certo di “alleati” per costituire un requisito di governo riconosciuto a tutti i livelli; parimenti vale per la comunicazione e la formazione, che sono veicoli di diffusione e formazione della cultura di impresa come giusta conservazione del “vantaggio competitivo”.

Non resta così molto da aggiungere; vale tuttavia la pena soffermarsi ancora sulla definizione che la cultura aziendale moderna fornisce ancora oggi per definire un “sistema di controllo interno”; facciamo così riferimento alla definizione che si può trovare all’interno del CO.So Report, il noto documento emesso nel 1992 sotto la denominazione di Committee of Sponsoring Organizations, rappresentante una “pietra miliare” per ogni successivo intervento pubblico sul tema a livello internazionale: Il sistema di controllo è l’insieme delle direttive, delle procedure e delle tecniche adottate dall’azienda, è un processo attuato dal Consiglio di Amministrazione, dai dirigenti e da altri soggetti della struttura aziendale, finalizzato a fornire una ragionevole certezza sul conseguimento degli obiettivi rientranti nelle seguenti categorie: efficacia ed efficienza delle attività operative, attendibilità delle informazioni contabili ed extra contabili, sia per i terzi, sia a fini interni, conformità alle leggi e ai regolamenti in vigore, alle norme e alle politiche interne.

Non è difficile intuire che il modello organizzativo 231 è proprio un sistema di controllo interno e che questo in quanto  tale, non può certo nuocere all’impresa, quanto piuttosto costituire le più valide premesse ad una sua puntuale e  completa visione organizzativa, per la conduzione direzionale, operativa e di controllo.  In poche parole: acquisire conformità alle prescrizioni della legge 231 del 2001 è una opportunità gestionale ancor prima che di “compliance” per tutte  le organizzazioni che tra i propri  obiettivi iscrivono anche la permanenza duratura sul mercato e la salvaguardia della propria esistenza.

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