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Pubblicato il 06 Agosto, 2017

L’efficacia della formazione e comportamento

L’intervista ad opera di Tiziano Menduto è stata pubblicata da PuntoSicuro, sul numero 2518, 25 novembre 2010.

Riportiamo di seguito l’intervista fatta all’ing. Riccardo Borghetto in merito al fatto che la formazione non è efficace nel modificare i comportamenti non sicuri o comunque nel mantenere quelli sicuri.

L’ing. Borghetto aveva già partecipato al seminario Inail “Sicurezza sul lavoro e gestione del fattore umano” che si è tenuto a Modena nella cornice della Convention “ Ambiente Lavoro” 2010.

Nel corso del seminario ha illustrato le potenzialità e l’efficacia delle metodologie incentrate sulla modifica dei comportamenti.

L’intervista tocca i principi della Behavior Based Safety, un protocollo scientifico per la misura e la modificazione dei comportamenti di sicurezza, a sostegno della tesi che la formazione da sola, così come è fatta attualmente, non determina la motivazione a fare le cose secondo quanto appreso.

Riportiamo di seguito il testo dell’intervista: Domanda: Perché al convegno Inail “Sicurezza sul lavoro e gestione del fattore umano” ha affermato che la formazione non è efficace nel modificare i comportamenti non sicuri o comunque nel mantenere quelli sicuri?

Non è la formazione, una formazione di buona qualità, un passaggio necessario per aumentare la percezione dei rischi e diminuire il rischio di incidenti?

Riccardo Borghetto: Ho fatto una affermazione forte, ma che è sostanzialmente vera.

Per capirlo devo rubare un po’ di spazio per partire dalla scienza del comportamento. Spesso la scienza ci dice cose che contrastano con la percezione comune del tempo, basti pensare alle affermazioni di Galilei, Darwin, Einstein. Non è la scienza che sbaglia, ma la percezione comune.

I nostri comportamenti (motorio – cioè quello che ha a che fare con l’attivazione dei nostri muscoli, verbale-quello che diciamo e pensiamo, emotivo – che ci fa provare emozioni) sono appresi in modo naturale dagli stimoli che l’ambiente ci fornisce. Da piccoli l’ambiente è costituito principalmente dalla nostra famiglia, poi dai nostri amici. Nel mondo del lavoro gli stimoli sono dati soprattutto da colleghi e nostri capi. Si parla di apprendimento ma, di fatto, è la modifica del nostro comportamento che si costruisce e modifica di continuo. L’insegnamento è un modo artificiale di erogazione di stimoli antecedenti e conseguenze per accelerare un apprendimento che ci sarebbe in modo naturale oppure per apprendere situazioni che non avremmo mai occasione di apprendere in altro modo. Voglio dire che si apprende comunque nell’ambito delle esperienze fatte nella vita. Con l’insegnamento, se l’erogazione degli stimoli è fatta in modo appropriato l’apprendimento può essere velocissimo rispetto ad un processo naturale. Per “correttamente” intendo seguendo le leggi del comportamento umano. Normalmente quando si parla comunemente di “formazione di qualità” si intende altro. Ciò che è centrale per l’apprendimento rapido è l’erogazione di stimoli e, soprattutto, di conseguenze al nostro comportamento in situazioni quasi identiche alla situazione reale. Il top da questo punto di vista è rappresentato dai simulatori, che simulano una situazione reale, dando tantissime conseguenze nel tempo, facendo apprendere rapidamente ad un pilota manovre complicatissime da apprendere con altre tecniche. Per come viene effettuata la formazione in modo tradizionale, sia in aula ma soprattutto Fad (Formazione a distanza , ndr), vi sono degli stimoli che impattano sul nostro comportamento ma in maniera molto blanda. Teniamo presente che noi apprendiamo in continuo, sopratutto nell’ambiente di lavoro in base agli stimoli che riceviamo, stimoli che possono rafforzare o diminuire i nostri comportamenti di sicurezza. La formazione iniziale definisce il nostro livello iniziale di comportamenti sicuri e di resistenza all’estinzione che dipende da quanti rinforzi positivi ha ricevuto nella formazione iniziale. Da quel punto in poi i nostri comportamenti dipendono dalla nostra resistenza all’estinzione confrontata con gli stimoli che riceviamo di continuo. Per l’esperienza che ho maturato come tecnico della sicurezza, nella formazione per come viene tradizionalmente erogata, con pochi rinforzi positivi, la resistenza all’estinzione è bassa. L’ambiente di lavoro nella stragrande maggioranza dei casi punisce i comportamenti sicuri per cui il comportamento sicuro rapidamente si estingue. La formazione cosi impostata non è duratura nel tempo. Teniamo presente che comunque in ogni caso, alla lunga, sono gli stimoli erogati dall’ambiente di lavoro a determinare il comportamento. Ad esempio se metto un lavoratore all’interno di un reparto in cui tutti i lavoratori hanno i DPI corretti e danno i giusti antecedenti e conseguenze, il lavoratore si adeguerà al gruppo (si chiama conformità) mettendo anche lui i DPI. E lo farà sempre se le contingenze in atto saranno sempre quelle. Vale purtroppo anche il viceversa. Un lavoratore che provenga da un’azienda di elevato standard di sicurezza e inserito in azienda che non fa sicurezza, all’inizio utilizzerà i DPI , poi, a causa dello scherno dei colleghi si adeguerà al gruppo non usando i DPI che ha in dotazione e sapendo benissimo che dovrebbe portarli (cosa che ha appreso al corso di formazione). Quello che voglio dire è che la formazione è sicuramente importante (se fatta correttamente applicando le leggi del comportamento umano), ma da sola non è sufficiente a determinare la modifica dei comportamenti. Serve per “sapere”, per conoscere le modalità, le procedure ecc. L’attivazione del comportamento corretto che applica quelle conoscenze e procedure è però sotto controllo delle conseguenze di quel comportamento. A mio avviso l’importanza che si da alla formazione è sovrastimata. Per essere ancora più precisi è sottostimata (perché sconosciuta ai più, compreso il legislatore) l’importanza dell’erogazione di conseguenze da parte dell’ambiente, cioè dei colleghi e capi nel lavoro. Perché è questa in definitiva che determina il comportamento, non la formazione iniziale (e periodicamente ripetuta). La formazione da sola, non determina la motivazione a fare le cose che abbiamo capito. Non è decisiva nel cambiare i comportamenti. Un esempio per tutti dovrebbe chiarire il concetto. Tutti noi autisti con patente abbiamo fatto un corso in cui ci hanno spiegato il limite di velocità in strada e che lo stesso va rispettato. La formazione è stata fatta, anche se alcuni anni fa, ma il concetto è ben chiaro nella testa di tutti noi. Lo sappiamo. Ciononostante mediamente i limiti li superiamo in tanti. Chi supera il limite non ha una carenza di formazione: ha semplicemente un comportamento che è sotto controllo delle conseguenze di arrivare prima: chi corre veloce arriva puntuale dal cliente e riesce a vendere di più, chi arriva a casa prima la sera fa contenta la moglie e figli ecc, evita l’imbottigliamento nel traffico ecc. Il comportamento è sotto controllo dei rinforzi che riceve, non della formazione iniziale avuta. Questo vale anche per i comportamenti nel mondo del lavoro. I comportamenti a rischio sono rinforzati da tante conseguenze: si risparmia tempo, fatica, si evita di sudare senza DPI ecc, si consegna prima ecc. Se si vuole ridurre veramente il rischio di incidenti, dato che gli stessi sono determinati per almeno l’80% dai comportamenti, è necessario utilizzare le corrette tecniche per modificarli. Tali tecniche sono state scoperte scientificamente da uno scienziato di Harward : F.B. Skinner nella prima metà del secolo scorso e sono usatissime in tanti campi. Sono leggi scientifiche inconfutabili che vanno sotto il nome di paradigma di Skinner o modello A-B-C (A=antecedenti, B= comportamento, in inglese Behavior, C= conseguenze). Per finire: quello che fa realmente la differenza per l’apprendimento veloce e quindi la modifica dei comportamenti sono le conseguenze erogate nell’ambiente di lavoro dai nostri colleghi e capi. Più sono frequenti, certe ed erogate immediatamente dopo, più i comportamenti sicuri aumenteranno e quelli a rischio andranno in estinzione. Per quanto attiene alla “percezione del rischio” è stato effettuato uno studio molto illuminante in proposito da Stephen Guastello pubblicato sulla rivista Safety Science (1993). Guastello ha messo a confronto vari “approcci” per ridurre gli infortuni tra cui quelli basati sulla selezione del personale. Ha indagato 26 casi che hanno interessato 19177 persone. L’approccio tanto popolare quanto inefficace di riduzione degli infortuni era basato sul concetto popolare di “predisposizione al rischio”. La strategia ipotizzata era di selezionare tra i candidati a un posto di lavoro, solo quelli che avevano un basso indice di predisposizione al rischio. Tale indice era calcolato mediante dei questionari che andavano a vedere alcuni aspetti che il senso comune attribuisce alla predisposizione al rischio come ansietà, distraibilità, tensione, insicurezza, credenze sul controllo dei rischi, aspettative sulle tecniche del controllo personale di eventi di vita, affidabilità, impulsività, la ricerca di sensazioni, noia, uso di alcool. A prima vista sembra (anche questa credenza popolare) che se riusciamo a individuare chi ha più predisposizione al rischio e non lo assumiamo, ci teniamo solo persone con basso livello di predisposizione al rischio che si infortunerà di meno. L’approccio, studiato da Guastello, ha portato ad una media di riduzione degli infortuni del 3,7%, cioè quasi totalmente inefficace soprattutto se paragonato ad un risultato di riduzione del 59,6 % ottenuto con il protocollo BBS (Behavior Based Safety). Perché è risultato quasi totalmente inefficace? 1) Gli strumenti o procedure/questionari per misurare le caratteristiche di “predisposizione al rischio” non sono affidabili o validi; 2) La cosiddetta “predisposizione al rischio” varia con le situazioni: ad esempio casa e lavoro non sono uguali da questo punto di vista; 3) Il comportamento delle persone si è dimostrato non correlato al livello di rischio attribuito. 4) Trovare la correlazione tra certe caratteristiche personali e i tassi di infortunio non significa che i fattori di predisposizione hanno causato il cambiamento del tasso di infortuni. Si veda anche E. Scott Geller “The Psycology of Safety Handbook” –Ottobre 2000 In conclusione: lasciamo stare concetti che non sappiamo nemmeno definire e misurare in modo scientifico come quello di “percezione del rischio” e lavoriamo invece sui comportamenti che sono misurabili e di cui sappiamo, grazie ad alcune leggi scientifiche, praticamente tutto. Le aziende che adottano tecniche BBS ( Behavior Based Safety) hanno mostrato significativi risultati di riduzione degli infortuni. C’è molta letteratura in materia. Domanda: La formazione forse, da sola, non è sufficiente per modificare i comportamenti sicuri. Ma l’apprendimento può avvenire solo attraverso esperienze e stimoli? Nel mondo lavorativo alcuni stimoli potrebbero arrivare troppo tardi… E la svalutazione dell’efficacia della formazione non rischia di essere pericolosa? Un’ottima giustificazione per chi, in barba a tutte le normative, continua a negarla ai propri dipendenti. Insomma lo scontro tra esperienza e scienza, tra apprendimento tramite esperienza e apprendimento tramite formazione, riempie i libri delle scienze umane da secoli… Forse quello che deve avvenire non è uno scontro, ma semplicemente un incontro… Riccardo Borghetto: Non ritengo che la formazione si debba svalutare. Per inciso io sono un formatore di professione. Ciò che sto cercando di far conoscere a chi ci legge, è che la formazione è uno strumento con dei limiti di cui bisogna essere consci. Alcuni sono tipici di come è normalmente erogata, altri sono intrinseci rispetto all’obiettivo di far modificare il comportamento. La formazione dovrà essere fatta, magari ricorrendo ad altre tecniche, ma dovrà essere fatta. Ma in aggiunta alla formazione – è il succo del mio discorso – bisogna progettare e realizzare un sistema organizzato di erogazione di contingenze a valle del comportamento osservato, da parte dei capi e colleghi per aumentare i comportamenti sicuri ed estinguere quelli a rischio. Dobbiamo “formare” i capi e i colleghi a questo nuovo compito spiegando loro come si fa, mediante training e simulazioni e rinforzando il comportamento di erogazione di conseguenze. Non possiamo limitarci a riempire le lezioni dei preposti di terrorismo, leggendo solo leggi, sanzioni e sentenze che li riguardano. Dobbiamo dare loro gli strumenti organizzativi per metterli in condizione di capire come modificare i comportamenti di sicurezza. Penso che questo che ho indicato sia quello che Lei chiama “incontro”. Il mio ragionamento serve a chi ha come obiettivo azzerare gli infortuni, andando oltre il limite rappresentato dalla formazione. Chi non fa nemmeno la formazione penso non sia interessato al nostro ragionamento. E’ possibile trovare l’intervista anche sul sito di PuntoSicuro. 

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