Pubblicato il 08 Settembre 2023

Cosa ci insegna il disastro di Brandizzo

Cosa ci insegna il disastro di Brandizzo

di Ing. Riccardo Borghetto, Amministratore Unico di Lisa Servizi

 

Finora non ho commentato l’evento per rispetto di chi è stato vittima dell’evento.

Al di là dei profili di responsabilità, che non competono a noi, oramai sappiamo tutti come è andata. Sono di dominio pubblico le telefonate, un video e le testimonianze di colleghi. Cerchiamo di trarre qualche lezione utile anche da un evento così drammatico.

In estrema sintesi: RFI subappalta ad una azienda di lavori ferroviari (la Sigifer) alcuni lavori di sistemazione dei binari in orario serale. Uno dei tantissimi cantieri che ogni giorno sono presenti sui binari della linea ferroviaria. Un treno in corsa ad alta velocità travolge e uccide 5 lavoratori dell’impresa vicino alla stazione di Brandizzo. Due si salvano per un pelo: il capo cantiere della Sigifer e il tecnico manutentore di RFI Antonio Massa. Quest’ultimo doveva non solo controllare i lavori, ma autorizzarli solo in corrispondenza della interruzione della linea ferroviaria una volta avuto conferma da RFI.

RFI ha da molti anni una procedura che regolamenta i lavori lungo la linea (IPC istruzione protezione cantieri). L’AD di RFI in audizione alla camera ha confermato che si tratta di una procedura ferrea, tassativa. Si lavora solo quando vi è interruzione del traffico sulla linea. Non sono ammesse deroghe.

L’impresa esecutrice è specializzata nel settore, qualificata da RFI e certificata Iso 9001, 14001,45001 e SOA.

Apparentemente e documentalmente sembra tutto sotto controllo.

Il tecnico manutentore RFI fa vigilanza dei cantieri sulla linea, immaginiamo sia molto qualificato e ovviamente a conoscenza della IPC.

E invece cosa è successo?

I lavori sulla linea sono iniziati in anticipo, in attesa di ricevere il via formale e con la linea interrotta. Nessuno dei lavoratori, che erano a conoscenza delle procedure RFI, ha contestato l’inizio anticipato o si è preoccupato. Dalle interviste condotte dalla Procura di Ivrea a ex dipendenti è emerso quello che pensavamo, ovvero che anche altri facevano così e che la procedura IPC non era applicata in modo ferreo.

Non sapremo mai quante volte. Possibile che in RFI nessuno sapesse?

Il video che uno dei dipendenti ha registrato, e che ormai è diventato virale, mostra che uno dei lavoratori non lavorava ma stava per minuti a registrare con il suo smartphone a ridosso dei binari di una linea non interrotta. Non sembrava esserci una pressione a concludere in fretta i lavori o un organico ridotto, alcune delle lamentele che spesso sentiamo da parte sindacale quando vi sono importanti incidenti sul lavoro.

Il sig. Massa era del tutto consapevole del rischio. Lo si sente affermare “se dico treno, buttatevi di fianco”, una sorte di misura di protezione degli ultimi metri, del tutto inefficace come abbiamo visto.

Cosa ci insegna la strage di Brandizzo?

A mio avviso l’insegnamento che possiamo trarre va ben oltre l’evento accaduto. Pochi sono gli eventi così ben documentati e di cui è chiara la dinamica. L’assenza di telecamere sul posto di lavoro non ci consente spesso di conoscere la verità.

Andiamo con ordine:

1-Le certificazioni sui sistemi e le procedure hanno notevoli limiti. Si fermano alla superficie, al controllo documentale. Non sono in grado di rilevare i comportamenti a rischio. Soprattutto in contesti molto punitivi dove i comportamenti a rischio vengono nascosti. Nemmeno la presenza delle vigilanza RFI sul cantiere si è dimostrata in grado di controllare il comportamento umano.

2-La formazione che RFI e l’appaltatore hanno erogato ai lavoratori non è riuscita a creare quella “cultura” della sicurezza, quella consapevolezza situazionale, quella percezione del rischio, che era necessaria. La formazione non si è dimostrata in grado di controllare il comportamento umano.

3-Non si è trattato di errore umano di un singolo, ovvero di atto accidentale, inconsapevole, casuale.

4-Vi è stata una violazione intenzionale, non da parte di un singolo, ma di un gruppo misto, i cui componenti erano del committente (RFI) e dell’appaltatore (Sigifer). Tutti hanno violato la procedura che conoscevano e che l’azienda riteneva fosse applicata in modo ferreo.

Questa procedura chissà quante altre volte è stata violata.

5-Vi è stata una eccessiva confidenza con il pericolo. Questa situazione è tipica di lavori a rischio, dove le violazioni (comportamenti a rischio) non sono seguite da conseguenze punitive immediate e certe per il comportamento. È quello che succede per chi opera in quota senza protezioni: i comportamenti a rischio sono frequentissimi, gli infortuni mortali, in rapporto ai comportamenti a rischio, sono pochissimi. La stessa cosa avviene nei comportamenti stradali. 

Possiamo dire che gli eventi (infortuni o disastri) ad altissima gravità, ma bassissima probabilità come questi, tendono ad essere considerati dal nostro cervello come impossibili. È una situazione analoga all’evento accaduto nella funivia del Mottarone, dove persero la vita 14 persone per una violazione intenzionale alle procedure di sicurezza da parte di un operatore preparato e qualificato. L’aveva fatto un sacco di volte, tanto non accadeva nulla di pericoloso!

6-Non vi è stata scarsa comunicazione: l’operatore RFI l’ha ribadito più volte, che lo stato della linea non era interrotto e i lavori non erano autorizzati.

7-Potremo scartare la scarsa conoscenza degli operatori che facevano praticamente solo quel tipo di lavoro sulle linee ferroviarie.

8-Distrazione? Sicuramente era distratto il ragazzo che ha fatto il video poi postato sui social.

9-Risorse insufficienti? Ritengo di no.

10-Pressione dall’alto? Non per completare i lavori. Casomai vi è stata pressione a non iniziarli.

11-Competenze insufficienti? Difficile dirlo, ma tenderei ad escluderlo

Analisi comportamentale dell’evento

Se inquadriamo l’evento da un punto di vista comportamentale riusciamo a capire meglio quello che è successo.

I comportamenti umani (B), cioè le nostre azioni, sono evocati da stimoli fisici ambientali che chiamiamo antecedenti (A) e sono mantenuti, aumentati o diminuiti dalle conseguenze immediate che seguono il comportamento stesso (C). Il comportamento B dipende quindi da A e C, soprattutto dalle conseguenze.

Le procedure come IPC, la formazione, la modulistica ecc sono antecedenti. Sono deboli nel controllare il comportamento. Le conseguenze che ci piacciono (come finire prima il lavoro e quindi arrivare a casa in anticipo) si chiamano rinforzi positivi (R+): aumentano la probabilità del comportamento futuro.

Antecedenti e conseguenze modellano in continuazione il nostro comportamento, senza che ce ne rendiamo conto.

Può essere successo che una volta, nell’attesa noiosa del via ai lavori che non arriva, un lavoratore inizia un lavoretto di contorno. Non lo dovrebbe fare e lo sa, è una violazione, ma in fin dei conti non rischia quasi nulla. Siccome non ci sono conseguenze negative, ma solo positive per quel comportamento, la prossima volta lo rifà riducendo il margine di sicurezza. Magari inizia un lavoretto molto breve, questa volta sui binari, cercando di “stare attento”. Continuiamo così per molte volte e vedremo la squadra assumere comportamenti ad elevatissimo rischio senza neanche rendersene conto. È come scendere lentamente su un piano inclinato verso il baratro, sotto la spinta del rinforzo positivo che segue i comportamenti a rischio.

I rinforzi positivi sono molto efficaci soprattutto se immediati e certi. Talmente forti da  violare tutto quello che si può violare.

D’altra parte non capita solo agli altri, ma anche a noi, è la nostra rete neuronale che è fatta così.

Quante volte abbiamo violato una regola di sicurezza, magari sulla strada?

Che fare allora?

L’approccio sanzionatorio dell’integralismo repressivo (cit. Catanoso)

La maggior parte degli articoli sulla stampa che si occupa di infortuni segue il seguente schema:

Si parte delle statistiche degli infortuni: ci sono troppi infortuni, è una emergenza. Servono più formazione e più sanzioni severe per i datori di lavoro.

È iniziata da poco la raccolta delle firme per introdurre il reato di omicidio sul lavoro. Se c’è una cosa che è evidente in questo cantiere ferroviario è la totale assenza del datore di lavoro del sub appaltatore. Quello che è successo è stato deciso solamente dai lavoratori, il loro preposto, e dal sorvegliante di RFI. Non penso che sanzioni molto più severe al Datore di lavoro avrebbero cambiato la dinamica dell’evento. La violazione è stata pagata con la vita.  Gli unici sopravvissuti, che si sentono responsabili dell’evento, pagano un prezzo emotivo fortissimo, sicuramente maggiore di sanzioni ipotetiche e tardive.

Il problema è che nel momento in cui la nostra rete neuronale attua il comportamento a rischio, non pensiamo alle sanzioni, anche perché riteniamo non succederà nessun evento negativo. In pratica le sanzioni non sono un deterrente efficace.

Abbiamo già visto l’effetto che ha avuto l’introduzione del reato di omicidio stradale nel 2016 sul numero di morti su strada. Praticamente nullo. D’altra parte una maggior repressione non significa maggiore prevenzione, che è quello che a noi serve. Per questo motivo ritengo che l’eventuale introduzione del reato di omicidio sul lavoro non avrebbe nessun effetto utile a livello preventivo.

La gestione del comportamento umano

Serve avere un maggior controllo sul comportamento agito dai lavoratori. Abbiamo visto che la formazione e le procedure, anche se necessarie, non sono sufficienti. A mio avviso sono inutili anche molte iniziative estemporanee che vanno di moda oggi nei Safety Day.

Il modo più efficace, scientifico, per mettere sotto controllo i comportamenti è la Behavior Based Safety (B-BS). Un processo di misurazione settimanale e parametrica dei comportamenti di sicurezza effettuato dai colleghi. Le aziende che hanno implementato un processo B-BS sanno quanti sono in percentuale i comportamenti più critici e dove intervenire. 

Altre considerazioni

L’evento avrebbe potuto avere ben altre e più gravi conseguenze se il treno fosse deragliato e fosse stato un treno passeggeri. Da utente non è una bella notizia scoprire delle falle così grandi nel sistema di sicurezza.

Anche in questo caso, come in altri, emerge solo dopo l’evento che vi erano anomalie, comportamenti a rischio non rilevati e non noti al vertice RFI. Io la chiamo polvere sotto al tappeto.

A noi tutti piace ricevere solo belle notizie, che l'organizzazione è perfetta, non ci sono errori ne rischi. Sapere che ci sono lavoratori che violano una delle procedure più importanti di sicurezza ci fa arrabbiare e reagire in maniera fortemente punitiva, con il risultato che certi segnali deboli non arrivano. Chi vede, per paura, non segnala. Quasi tutte le organizzazioni hanno pochissime segnalazioni su eventi accaduti (near miss) e praticamente zero su comportamenti a rischio. La B-BS è di notevole aiuto nel far emergere la polvere sotto al tappeto.

 

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